Possiamo finalmente dire di essere ciclisti battezzati dall’Islanda.
Gli ultimi giorni ci hanno offerto la compilation completa di: pioggia, vento fortissimo in faccia, freddo, salite verticali.
Ora possiamo finalmente vantarci di avere conquistato i chilometri alle nostre spalle, ma la verità è che durante l’impresa eravamo pallide ombre piagnucolanti di noi stessi.
Niente come il vento è in grado di spezzare lo spirito di un ciclista, specialmente quando il ciclista in questione parte già con pochissima voglia di intraprendere una scalata (sì, sto parlando di me stesso).
Ad ogni modo va riconosciuto a Sio e Nick di avere molta più classe di me nell’affrontare le difficoltà; nello stesso momento in cui loro pedalavano lenti ma costanti a causa delle raffiche di vento, lasciandosi al massimo andare a qualche commento riguardo al tempo inclemente, io alternavo momenti di pedalata rabbiosa a momenti in cui urlavo letteralmente improperi verso il cielo.
Una scena che sono grato sia rimasta senza spettatori.
Abbiamo comunque completato quella che per ora è stata la salita più lunga e più ardua, affacciandoci finalmente sull’Eyjafjörður e quindi su Akureyri, prima vera città dal momento in cui abbiamo salutato Reykjavik, ormai più di due settimane fa.
Siamo idealmente a un terzo della strada, e gli 800 chilometri sono a portata.
Da qui in poi inizieremo a muoverci verso est per poi intraprendere la discesa che ci porterà verso la costa sud, le sue spiagge e i suoi ghiacciai.
Non sappiamo ancora cosa ci aspetta, saranno il vento e le condizioni climatiche a determinare il passo con cui ci muoveremo nei prossimi giorni, ma ormai ci sentiamo collaudati e pronti ad affrontare qualsiasi prova.
Ovviamente ho scritto la frase precedente senza crederci minimamente.
Il nostro pellegrinare è addolcito dalle occasionali pause per strada, siano per un caffè (refill infinito, ottimo per la tachicardia), per un hotdog (cibo della salvezza data la sua onnipresenza e il suo bassissimo costo) o per un qualche punto di interesse.
Un buon esempio dell’ultima categoria potrebbe essere la sorgente termale che pochi giorni fa ci ha “scaldato” dopo una lunga pedalata su e giù per i fiordi.
Scrivo “scaldato” tra virgolette perché la temperatura dell’acqua era in realtà più adatta a cuocere delle uova che non ad accogliere un corpo umano. Con grande sprezzo del pericolo (e mettendoci circa un ora) siamo comunque riusciti ad immergerci e a rilassarci fino a diventare di un inquietante rosso/arancione.
La sera stessa dormiamo nel campeggio adiacente, bolliti dall’acqua e dalla pedalata.
Visto che ormai sto organizzando questi blog secondo il rigoroso ordine del buttare tutto a caso scriverò anche del nostro incredibile fiuto nello scovare posti papabili per piantare la tenda.
Dopo la geniale intuizione della Riserva Naturale di cui si è già detto, il nostro secondo capolavoro è stato rappresentato da quella che chiameremo La Notte Del Ventone (d’ora in poi abbreviata in LNDV per comodità mia).
LNDV è stata un colpo di genio arrivato al termine di una giornata particolarmente proficua dal punto di vista dei chilometri percorsi, che ci ha stroncato soltanto nei chilometri finali per la tipica combinazione di inizio di salita più vento a sfavore.
Dato che il nostro obiettivo per la giornata era stato ampiamente raggiunto e superato, e il terreno al limitare della strada iniziava a promettere di diventare inospitale da lì a poco, decidiamo di sfruttare uno spiazzo non recintato (e quindi non terreno di una qualche fattoria) esattamente al centro della valle, sotto di uno splendido cielo chiazzato di nuvole basse e veloci.
Visto che siamo svegli come galline ci accorgiamo che il vento soffia con decisione, e quindi picchettiamo con attenzione la tenda, arrivando addirittura ad ancorarla con le bici sdraiate per terra ma dimenticandoci che una tenda con quattro lati, se orientata senza criterio, può diventare all’occorrenza una splendida vela.
Disponiamo quindi il nostro rifugio con un lato esattamente perpendicolare alla direzione in cui soffiano le raffiche.
È dall’inizio del nostro viaggio su due ruote che consultiamo con attenzione il bollettino meteo islandese, sempre aggiornato con estrema precisione, proprio per evitare sorprese o per potersi comunque preparare a dovere.
La sera antecedente LNDV ovviamente ce ne dimentichiamo completamente, dando quindi modo ai noi stessi del futuro di scoprire che verso le cinque di mattina è previsto un picco nella forza delle correnti. Ci svegliamo all’alba con la tenda completamente piegata su sé stessa, con noi all’interno, in un misto di incredulità e stupore.
Oltre che babbei, però, c’è un altra qualità che ci definisce: possiamo essere incredibilmente pigri.
Dopo un iniziale preoccupazione per la condizione della tenda decidiamo che comunque non c’è nulla da fare, e che comunque si sta certamente meglio dentro che fuori, e decidiamo quindi di ignorare il vento che cerca di ucciderci e torniamo a dormire.
O almeno ci proviamo: Nick è così preoccupato che inizia a russare nel momento stesso in cui riappoggia la testa sul materassino.
La tenda alla fine uscirà incolume dalla nottata, dimostrandosi il membro più coriaceo e temerario del gruppo.