Cerco di fare mente locale chiedendomi da quanti giorni siamo in bici.
Sono quattro vero?
Cerco la conferma di Sio.
Viene fuori che sono otto giorni pieni.
Pare che il folle divertimento degli ultimi giorni mi stia facendo perdere la cognizione del tempo; oppure può dipendere dal fatto che ogni sera arrivi alla meta con la carica e la gioia che di solito contraddistinguono un condannato a morte.
Per quanta possa essere la fatica su strada, è comunque sempre ricompensata dai paesaggi mozzafiato che ogni giorno si offrono alla nostra vista.
Paesaggi incredibili che scambierei volentieri con qualche tonnellata di cemento nella forma di piloni e autostrade, disposti in modo da tagliare le magnifiche valli che attraversiamo, facendoci risparmiare qualche milione di chilometri e dando così tregua alle mie esili gambette da ciclista amatoriale.
Sto ovviamente scherzando, è fondamentale che territori come quello che abbiamo appena attraversato (i vestfirðir o westfjords, la zona a nord-ovest del paese) siano tutelati e che al posto delle mostruose sopraelevate che troppo spesso deturpano i nostri monti, ci siano piccole strade che seguono il naturale andamento della costa.
È irrilevante il fatto che la notte mi trovi a sognare splendide autostrade pianeggianti a dodici corsie.
Un altra causa del mio continuo senso di spaesamento potrebbe essere da ricercare nella rigorosa dieta che stiamo cercando di seguire: indipendentemente dal tipo di pasto due sono gli elementi imprescindibili, la “salsa hamburger” e gli Oreo.
Entrambi alimenti che consumati in queste quantità possono sicuramente condurre alla cecità o alla morte, ma d’altra parte, che cos’è l’Avventura se non il continuo tentativo di auto procurarsi un infarto?
Spinti dall’eccesso di zuccheri e grassi saturi che di conseguenza intasano il nostro organismo siamo riusciti ad arrivare fino a Búðardalur, dopo circa cinquecento chilometri che ci hanno portato dalle porte di Reykjavik fino ai fiordi cristallini, da cui stiamo discendendo per poi puntare verso est, direzione Akureyri.
Negli ultimi giorni abbiamo percorso sia strade asfaltate seguendo la “ring road”, la principale arteria in cui confluisce il grosso del traffico automobilistico islandese, sia strade minori, a volte ripide e sterrate.
Grazie alle seconde abbiamo avuto la possibilità di affrontare piccoli valichi che ci hanno regalato incredibili vedute dall’alto dei fiordi e dell’oceano e, nel mio caso, un intenso desiderio di morte a salita ultimata.
Quando si avvicina la sera, arriva in genere il momento per decidere dove piantare la tenda. Le scelte sono piuttosto obbligate, almeno nella zona in cui ci troviamo ora, ci si ferma in un campeggio scelto alla mattina come obiettivo per la giornata o, se le condizioni lo permettono, si campeggia lungo la strada.
In Islanda è infatti legale il free camping, a patto che si seguano alcune elementari norme di comportamento: non è possibile sostare sul terreno di qualcuno senza il suo previo consenso, è obbligatorio rimuovere qualsiasi tipo di rifiuto si produca, non si può piantare la tenda in un punto in cui ce ne siano già altre, onde evitare il nascere di campi abusivi in giro per il territorio incontaminato.
In ultimo, e questa sembrerebbe molto semplice, è vietato sostare all’interno di riserve naturali e zone protette.
C’ERANO UNA VOLTA NICK LORRO E SIO
Tre baldi giovani che una volta scesi dal traghetto vicino a Flòkalundur decisero di percorrere i pochi chilometri che li separavano dal vicino campeggio.
I tre, tuttavia, si ritrassero inorriditi dinnanzi all’esoso costo di 1400 corone a testa.
“Ma è troppo caro!” esclamò Sio.
“E l’acqua è troppo fredda!” rincarò Lorro.
*suoni gutturali* sentenziò Nick.
Fu dunque deciso di spostarsi di un altro paio di chilometri, fino a un piccolo spiazzo nascosto da un gruppo di bassi arbusti.
“Questo è certamente il posto perfetto per riposare” esclamarono soddisfatti i tre, apprestandosi a montare la tenda, completamente avvolti da una nuvola di moscerini che come loro avevano deciso di trascorrere lì la notte.
Ma la beffa è sempre in agguato! Fu solo a mezzanotte passata che una voce proveniente dall’esterno della tenda svegliò i tre impavidi; una giovane fanciulla chiedeva di chi caspita fosse il rifugio, e se vi fosse qualcuno al suo interno.
I tre si consultarono in silenzio, fermi di sguardo e di cuore, decidendo chi dovesse affrontare la minaccia.
Ad emergere dalla tenda fu la testa di Lorro, salutata da una scrosciante pioggerellina e dal solito sciame di moschini di merda; davanti a lui la giovane, certamente venuta per metterli alla prova.
“Non potete stare qua. Mi dispiace ma è zona protetta. Dovete recarvi al più vicino campeggio!”
Sciocchezze! Com’era possibile che nessuno avesse informato i nostri eroi del divieto?? Non era forse scritto su di ogni guida che il campeggio in Islanda è libero e privo di vincoli?? Non erano forse le stanche membra dei tre una ragione sufficiente a far desistere la giovane guardiana??
Niente poteva muovere a pietà il suo freddo cuore, e fu così che i nostri eroi dovettero fare armi e bagagli e tornare al campeggio precedentemente snobbato.
All’una di notte e sotto la pioggia.
Morale della favola: il giorno successivo ci svegliamo umidi e impastati, ancora amareggiati dall’ingiusto trattamento ricevuto e reduci dalla notte dormita male e a metà. Rifacciamo le borse, risaliamo in sella, e percorriamo per la terza volta lo stesso tratto di strada, questa volta per puntare verso la prossima destinazione e lasciarci finalmente alle spalle Flòkalundur.
Quando siamo più o meno all’altezza dello spiazzo famigerato iniziamo ad accorgerci della presenza di numerosi cartelli.
Cartelli che informano che il campeggio è vietato in quanto Zona Protetta.
Cartelli disposti a venti metri uno dall’altro.
Per tipo un chilometro.
Ci lanciamo occhiate a testa bassa senza proferire parola e continuiamo a pedalare.
La prossima notte andrà sicuramente meglio.