Ok, ci siamo. È il momento. Devo parlare della Groenlandia. A un mese dal nostro rientro la cosa costituisce un piccolo problema per una semplicissima ragione: i dieci giorni che abbiamo trascorso su suolo groenlandese (groenlandico? groenlandino?) sono stati forse i più incredibili e inaspettati di tutto il viaggio. Fino dalla partenza l’idea che avevamo di Svalbard e Islanda era assolutamente frammentaria e approssimativa, ma se non altro avevamo una vaga idea di cosa poterci aspettare. Della Groenlandia invece non sapevamo quasi nulla. Non siamo rimasti delusi.
La mattina dell’ultima giornata ci svegliamo con due sole certezze: dobbiamo percorrere poca strada e non dobbiamo preoccuparci di ottimizzare lo spazio nelle borse come al solito. Una volta arrivati infatti le svuoteremo un ultima volta per poi trasferire tutto il contenuto in borsoni più capienti. Queste due considerazioni portano a una colazione lunghissima e alla peggiore organizzazione dei bagagli fino a quel momento: infiliamo più o meno a caso nelle borse tutto ciò che ci capita sottomano, il resto viene ridotto a una palla da legare al portapacchi con un numero imprecisato di elastici. Nel momento in cui dobbiamo partire la bici di Sio, già mediamente più carica delle nostre per via della tenda che sporge dal retro, è letteralmente una discarica: sopra a tenda e borse sono appese bottiglie di plastica vuote, vestiti e (per un motivo che tuttora ci sfugge) un sasso. Partiamo tranquilli e rilassati, pensando che con un tempo del genere percorrere un cinquantina di chilometri sarà una questione da poco.
Il nostro piano, fin dall’inizio, è stato uno soltanto. A prescindere dalle naturali variazioni di tempi e percorsi che avremmo deciso giorno per giorno l’obiettivo sarebbe rimasto uno: la Laguna Blu. A meno di quaranta chilometri da Reykjavik, verso sud-ovest, si trova una meta obbligata per chiunque sia interessato alla vivace vita culturale e alla storia islandese: un centro termale con piscine all’aperto munito di bar centrale, in cui acquistare birre per sbronzarsi mentre si rimane a mollo nell’acqua calda. Ovviamente, dato che siamo sensibili intellettuali, ci è sempre sembrato scontata l’idea di terminare lì il nostro peregrinare in bici, un simbolico .punto al termine di un mese di pedalate controvento. Una sorta di cimitero degli elefanti dove andare a spegnersi tra innumerevoli birre, solo con “ciccioni” al posto di “elefanti”.
Ok, ci siamo. È il momento.
Devo parlare della Groenlandia.
A un mese dal nostro rientro la cosa costituisce un piccolo problema per una semplicissima ragione: i dieci giorni che abbiamo trascorso su suolo groenlandese (groenlandico? groenlandino?) sono stati forse i più incredibili e inaspettati di tutto il viaggio.
Fino dalla partenza l’idea che avevamo di Svalbard e Islanda era assolutamente frammentaria e approssimativa, ma se non altro avevamo una vaga idea di cosa poterci aspettare.
Della Groenlandia invece non sapevamo quasi nulla.
Non siamo rimasti delusi.
La mattina dell’ultima giornata ci svegliamo con due sole certezze: dobbiamo percorrere poca strada e non dobbiamo preoccuparci di ottimizzare lo spazio nelle borse come al solito. Una volta arrivati infatti le svuoteremo un ultima volta per poi trasferire tutto il contenuto in borsoni più capienti.
Queste due considerazioni portano a una colazione lunghissima e alla peggiore organizzazione dei bagagli fino a quel momento: infiliamo più o meno a caso nelle borse tutto ciò che ci capita sottomano, il resto viene ridotto a una palla da legare al portapacchi con un numero imprecisato di elastici. Nel momento in cui dobbiamo partire la bici di Sio, già mediamente più carica delle nostre per via della tenda che sporge dal retro, è letteralmente una discarica: sopra a tenda e borse sono appese bottiglie di plastica vuote, vestiti e (per un motivo che tuttora ci sfugge) un sasso.
Partiamo tranquilli e rilassati, pensando che con un tempo del genere percorrere un cinquantina di chilometri sarà una questione da poco.
Il nostro piano, fin dall’inizio, è stato uno soltanto.
A prescindere dalle naturali variazioni di tempi e percorsi che avremmo deciso giorno per giorno l’obiettivo sarebbe rimasto uno: la Laguna Blu.
A meno di quaranta chilometri da Reykjavik, verso sud-ovest, si trova una meta obbligata per chiunque sia interessato alla vivace vita culturale e alla storia islandese: un centro termale con piscine all’aperto munito di bar centrale, in cui acquistare birre per sbronzarsi mentre si rimane a mollo nell’acqua calda. Ovviamente, dato che siamo sensibili intellettuali, ci è sempre sembrato scontata l’idea di terminare lì il nostro peregrinare in bici, un simbolico .punto al termine di un mese di pedalate controvento.
Una sorta di cimitero degli elefanti dove andare a spegnersi tra innumerevoli birre, solo con “ciccioni” al posto di “elefanti”.