In caso ve lo stiate chiedendo: sì, siamo riusciti ad arrivare ad Akureyri senza volare via come grasse Mary Poppins.
L’Islanda però ci tiene a ribadire i concetti, e dopo aver cercato di spazzare via tenda e contenuto per una notte intera decide che anche la giornata seguente dev’essere un momento da ricordare.
Ci svegliamo sotto di un cielo plumbeo, con un vento pungente che dalla cima scende a rallentare terribilmente la nostra pedalata; dopo una mezz’ora scarsa dalla nostra partenza inizia a cadere una pioggerellina sottile ma fitta, che rende ancora più sgradevole la nostra ascesa.
Più saliamo di quota, più il vento diventa gelido, quando arriviamo alla vetta siamo completamente intorpiditi. Ci rendiamo conto di avere appena percorso i primi quindici chilometri della giornata.
Dopo esserci vestiti a strati con più o meno tutto quello che abbiamo nelle borse iniziamo la discesa, rassicurati almeno dall’idea che alla base, a una trentina di chilometri dalla nostra meta finale, ci aspetti un caldo rifugio che potrà offrirci tepore e cibo.
Quando arriviamo dopo una lunga pedalata troviamo il posto chiuso per lavori.
Mangiamo seduti sui gradini davanti all’ingresso, cercando di stare il più rannicchiati possibile per ripararci dal vento che, inspiegabilmente, ci soffiava in faccia durante la salita e continua a soffiarci in faccia anche ora che siamo a valle.
Il vento in Islanda è un vero spasso, non mi stancherò mai di ripeterlo.
Pedaliamo per gli ultimi trenta chilometri con il pilota automatico, senza particolare voglia di ridere o scherzare, ci accorgiamo di essere finalmente arrivati solo quando ci scontriamo con il cartello che segnala l’inizio dell’area urbana.
Siamo ad Akureyri.
Il tempo di trovare il campeggio e di piantare la tenda e ci fiondiamo sotto una meritatissima doccia bollente.
La sera, durante la prima cena a base di Vero Cibo dalla nostra partenza da Reykjavik, decidiamo che sia le nostre gambe che le nostre teste necessitano di riposo e del tempo per ricaricarsi, concordiamo quindi di trascorrere una giornata intera in città.
Qualcosa però sembra andare storto perché il giorno di riposo diventa due giorni di riposo, e per due pomeriggi consecutivi ci ritroviamo nello stesso locale a bere le tradizionali settemila tazze di caffè con refill infinito cercando di metterci in pari con il lavoro.
Ci riusciamo splendidamente, evitando magistralmente un overdose da caffeina e recuperando tutto l’arretrato accumulato.
Quando ripartiamo ci rendiamo conto di un drastico cambiamento tanto in noi quanto nell’Islanda che ci troviamo di fronte.
La pausa pare averci fatto bene: proseguiamo a un ritmo più spedito e io posso persino permettermi di non arrivare in cima a qualsiasi collina in forte debito di ossigeno.
Il panorama che prima era incantevole ma abbastanza uniforme adesso muta ad ogni curva offrendoci uno spettacolo vario e movimentato. La vegetazione si fa più ricca e incontriamo una moltitudine di animali incredibili come renne e bufali dalle lunghe corna.
Quest’ultima cosa degli animali me la sono appena inventata perché non sapevo come rendere appassionante la descrizione del paesaggio.
Rimane vero che nella strada verso Mývatn, uno dei principali laghi islandesi, abbiamo modo di fare conoscenza con una delle specie più diffuse sul territorio. Sto parlando dei moscerini.
No, non vi sto prendendo in giro.
Difficilmente si associa un paese freddo come l’Islanda alle piccole creaturine fastidiose tipiche di climi più afosi, tuttavia è stato deciso che su tutto il territorio dell’isola dovessero abbondare in maniera demenziale.
Quando dico demenziale non sto esagerando, non è raro imbattersi in tratti di strada in cui è letteralmente impossibile proseguire a occhi e bocca aperta in quanto l’aria è completamente satura di nuvole di insettini con tendenze suicide.
Non sono un entomologo, ma rimango affascinato dalla predisposizione di moscerini e affini a fiondarsi in maniera ottusa e testarda contro ogni cosa possa sterminarli. Immagino che il numero esageratamente elevato in alcuni casi possa portare a una certa indifferenza e sprezzo del pericolo.
Sulle rive del lago troviamo anche lo splendido parco naturale di Dimmuborgir.
Alcuni di voi capiranno la gioia che questo mi regala e il perché possedere una foto con il cartello “Dimmuborgir” rappresenta per me il momento di climax assoluto sino a questo momento del viaggio.
Spendiamo quindi una buona parte del pomeriggio a passeggiare per i sentieri ritagliati tra le stupefacenti formazioni di roccia vulcanica del parco, ricavando il massimo da ciò che la natura ha da offrirci.
Quello che accade in realtà è che Sio scarica un'app con cui è possibile far cantare a una voce qualsiasi idiozia si scriva a schermo, quindi camminiamo ridendo sguaiatamente come solo i peggiori turisti sanno fare. La storia comunque ci ringrazierà per canzoni come “poop poop megapoop” o “Nick is ugly and his face is stupid”.
Da Dimmuborgir (non mi stuferò mai di scriverlo) ci dirigiamo verso est pronti per scalare le highlands, dove scopriremo che i paesaggi lunari esistono.