Ok, ci siamo. È il momento.
Devo parlare della Groenlandia.
A un mese dal nostro rientro la cosa costituisce un piccolo problema per una semplicissima ragione: i dieci giorni che abbiamo trascorso su suolo groenlandese (groenlandico? groenlandino?) sono stati forse i più incredibili e inaspettati di tutto il viaggio.
Fino dalla partenza l’idea che avevamo di Svalbard e Islanda era assolutamente frammentaria e approssimativa, ma se non altro avevamo una vaga idea di cosa poterci aspettare.
Della Groenlandia invece non sapevamo quasi nulla.
Non siamo rimasti delusi.
L’ultima parte del nostro viaggio si è svolta più o meno nella seguente maniera: da Reykjavik ci saremmo messi in viaggio alla volta di Nuuk, la capitale, una città di circa diciassettemila abitanti. Lì avremmo soggiornato per tre notti prima di spostarci a Ilulissat per altri quattro giorni, per poi tornare nuovamente a Nuuk gli ultimi tre giorni prima del rientro definitivo. In tutti e tre i casi avremmo pernottato presso un b&b o un appartamento (e non in tenda) per ragioni che spiegherò poi.
Quello che però bisogna sapere è che spostarsi in Groenlandia è una questione piuttosto complicata: il paese non ha una rete stradale per il semplice motivo che il terreno non lo permette, ci si può spostare quindi via acqua (con tempi decisamente più lunghi) o via aria (con piccoli aerei o in casi estremi in elicottero). In entrambi i casi i costi sono disastrosi, ma se si vuole girare un po’ non ci sono altre opzioni.
Messa da parte questa doverosa introduzione, posso iniziare a parlare del succo della faccenda.
Dato però che i dieci giorni di cui sopra sono stati particolarmente densi di eventi sappiate che non racconterò le cose in un preciso ordine cronologico, ma vi delizierò invece con uno dei miei classici sproloqui compilando una personale lista dei momenti salienti del viaggio e/o dei trivia che per un qualche motivo ho ritenuto rilevanti.
Andiamo a cominciare!
- Come si diceva qui sopra, campeggiare in Groenlandia potrebbe non essere una buona idea. La faccenda è questa: il terreno è in realtà roccia ricoperta da un sottile strato di muschio. Ne consegue che dopo ogni precipitazione il suolo si trasformi in una sorta di spugna zuppa d’acqua. Aggiungete a questo la totale mancanza di servizi e il fatto che il terreno umido trasformi il paese nella capitale mondiale di moschini e zanzare, almeno durante la breve estate, e capirete come girare in tenda potrebbe rivelarsi un esperienza più avventurosa del dovuto.
Per queste ottime ragioni abbiamo deciso di vendere un rene (di Sio, che comunque ne ha tre) e di soggiornare in case vere per i dieci giorni della nostra permanenza.
- Nuuk è una città strana. Al primo sguardo può risultare un po’ decadente; molti edifici sono prefabbricati risalenti agli anni ’70 o ’80, e il terreno brullo tra i palazzi non aiuta. Se però ci si prende il tempo per fare un giro tra le sue strade ci si rende conto che è una realtà estremamente vitale e varia, e che la sensazione di straniamento è dovuta almeno in parte a una concezione degli spazi urbani completamente diversa dalle città (spesso storiche) a cui siamo abituati. Gli spazi sono pensati più per la funzionalità che per l’estetica, a causa di un terreno e di un clima che impongono regole diverse con un occhio di riguardo alla praticità di manutenzione. Esistono pochissimi edifici antichi perché tolti dei luoghi di interesse storico si tende ad abbattere e a costruire nuovamente quando le strutture diventano obsolete. Tutta la parte della “città nuova” è una testimonianza di questa idea, con grossi condomini moderni che si sviluppano in verticale, in una zona quasi esclusivamente residenziale. Le case dall’esterno sembrano spoglie e impersonali, rallegrate solo dai colori vivaci con cui vengono dipinte, ma all’interno si rivelano accoglienti e luminose.
- A Nuuk vediamo l’aurora boreale per davvero.
Già a Reykjavik avevamo avuto la fortuna di vedere le “northern lights” completamente fuori stagione, degli esili fili verdi che si dipingevano in cielo serpeggiando velocemente per poi scomparire. Lo spettacolo che però vediamo a Nuuk una notte, tornando a casa, è completamente su un’altra scala.
Stiamo rientrando da una serata a base di birre, rigorosamente autoctone, trascorsa con il nostro ospite Poul (sì esatto, Poul scritto come lo si pronuncia), un simpatico ragazzo danese che si trova in Groenlandia da circa dieci anni per lavoro, e siamo particolarmente carichi e di buon umore. Rimaniamo quindi completamente senza parole quando alziamo gli occhi al cielo e vediamo fiumi verdi che drappeggiano il cielo nero. È difficile spiegare a parole cosa voglia dire vedere dei fiumi di smeraldo attraversare veloci il cielo notturno, specialmente quando si è combattuti tra il restare ad ammirare uno spettacolo unico e la necessità impellente di dover andare a fare la pipì. Nonostante il freddo pungente e i nostri bisogni fisiologici Nick ci costringe a venti minuti di foto, di cui ne salverà soltanto una manciata.
Lui darà la colpa alla lunga esposizione, il mio sospetto è che duemila birre aiutino poco ad avere la mano ferma.
Comunque aurora boreale: 2 su 2. In entrambi i casi molto prima della stagione in cui di solito è visibile. Possiamo ritenerci soddisfatti.
- A Nuuk vediamo anche per la prima volta le balene.
Un pomeriggio decidiamo di unirci a un tour in barca del fiordo su cui si affaccia Nuuk, il Nuup Kangelua, con partenza dal porto della città e arrivo a Kangeq, un villaggio di pescatori ormai abbandonato situato più a sud sulla riva opposta.
La giornata è assolata e la luce del tardo pomeriggio è splendida, il tempo ideale per un gita. Ci infiliamo dentro le grosse tute impermeabili e saliamo sul piccolo motoscafo che ci porterà a destinazione. Abbiamo lasciato la banchina da appena dieci minuti quando il pilota (timoniere? conducente? capitano? skipper?) rallenta e indica un punto a prua, anche nota tra noi esperti come “la parte davanti della barca”. Di fronte a noi, a qualche decina di metri, vediamo il classico soffio di cui fino ad ora avevamo solo sentito parlare; uno spruzzo d’acqua alla base del quale ammiriamo il dorso scuro di una megattera, che nuota pacifica prendendo aria prima di immergersi nuovamente per cibarsi. Quando torna sott’acqua si tuffa quasi in verticale, regalandoci lo spettacolo della sua enorme coda bianca e nera.
- Il primo giorno che trascorriamo a Nuuk piove. Piove forte.
Come si diceva sopra la pioggia comporta grosse pozze ovunque e un generale senso di disagio, questo unito al fatto di arrivare da un mese passato in bici/tenda ci porta a fare i pigri e a rimanere chiusi in casa per lavorare. Per nostra fortuna Poul è una persona bella e in tarda mattinata passa a prenderci in auto per farci fare un piccolo tour dell’area urbana, dal comodo asciuttino della sua macchina. Ci porta a vedere la parte vecchia, con la piccola cattedrale in legno e la statua del missionario Hans Egede, il centro con i suoi negozi e i locali e la parte nuova con i grossi condomini moderni. Quando i nostri capienti stomaci cominciano a brontolare Poul ci lascia scegliere tra due posti nelle vicinanze: uno fa carne, l’altro pizza.
Non sto neanche a dirvi dove cada la nostra scelta.
Il corpulento e tatuatissimo cuoco che ci accoglie da dietro il banco si rivela essere originario dei Westfjords islandesi. Quando gli raccontiamo che abbiamo appena finito di girarli in bici diventiamo subito migliori amici. Il fatto di essere italiani e di complimentarci per la pizza (supercondita come la migliore tradizione non-italiana vuole, ma onestamente buona) aiuta molto. Torneremo da lui ancora una volta quando il nostro volo per Ilulissat verrà posticipato di cinque ore, la pizza extra che ci offirà in quell’occasione, e che non riusciremo a finire, verrà portata via in un cartone per l’asporto e diventerà il soggetto della foto migliore di tutto il viaggio.
- Chi mi conosce un po’ sa che volare non è tra i miei passatempi preferiti.
Sono consapevole che le statistiche affermino che viaggiare in aereo sia molto più sicuro che spostarsi in auto/treno/qualsiasi altra cosa, ma continuo a pensare che essere sparati nel cielo a centinaia di chilometri all’ora dentro un tubo di metallo sospeso a decine di chilometri dal suolo sia un modo perfetto di viaggiare solo per chi brama la morte.
Capirete quindi la mia gioia quando vedo per la prima volta uno degli aerei a bordo dei quali viaggeremo in Groenlandia: piccoli velivoli da meno di cinquanta posti, moderni ma con due eliche al posto delle solite turbine.
Quando è il momento di imbarcarsi fingo nonchalance e faccio dietro front per tornare al sicuro all’interno dell’aeroporto, ma vengo comunque trascinato al mio posto, dove mi lascio scivolare nel sedile, sicuro che l’elica che vedo fuori dal finestrino sarà l’ultima cosa che vedo.
Per correttezza mi tocca invece ammettere che i voli saranno piacevolmente privi di turbolenze e molto più piacevoli di altri voli compiuti su aerei più grossi.
Durante il volo rimango comunque convinto che non rivedrò mai il suolo, a consolarmi è solo il pensiero che in caso di tragedia porterò con me anche i miei allegri compagni di viaggio.
Sono certo che sia questa la vera natura dell'amicizia.
- Tutto quello che vediamo a Nuuk ci sembra nuovo ed esotico, in un accezione fredda e pietrosa del termine “esotico”.
Poi arriviamo a Ilulissat.
Ora: se Nuuk rappresenta la sua parte più urbana e moderna del paese, Ilulissat è il perfetto esempio di quello che ci si immagina quando si pensa all’estremo nord e alla sua natura. Con meno di cinquemila abitanti Ilulissat è forse la metà più “turistica” di tutto il paese, e data la cornice in cui si trova non è affatto difficile capire il perché.
La cittadina, situata nella baia di Disko, si trova poco più a sud del ghiacciaio più attivo dell’intero emisfero nord; appena usciti dall’aeroporto (di fatto una singola stanza con un nastro trasportatore per i bagagli) ci troviamo di fronte a questo:
- Scopriamo che gli spazi di Ilulissat sono equamente divisi tra chi di gambe ne ha due e chi invece quattro. Gli spiazzi incolti tra i vari gruppetti di case colorate sono infatti abitati dai cani da slitta, che nel periodo estivo godono del meritato riposo data l’assenza di neve e quindi di slitte da trainare.
A differenza di quanto si crede, questi simpatiche bestiole puzzolenti sono più vicine per parentela ai lupi che non ai cani domestici; tutta la cittadina è infatti piena di cartelli che invitano i turisti a non avvicinarsi ai cani e stare attenti alle proprie mani. La legge groenlandese, infatti, sancisce che i cuccioli possano girare liberamente fino a un anno di età, al termine del quale ogni cane diventa responsabilità del proprio padrone e viene in genere legato a una lunga catena nello stesso spazio riservato agli altri cani della stessa muta. I cani da slitta sono infatti considerati animali da lavoro, e non da compagnia.
Arrivando a Ilulissat ci si trova quindi spesso a camminare in mezzo a prati popolati da cani intenti a sonnecchiare durante il giorno, e ululare senza posa la notte. Da queste parti i doppi vetri sono un acquisto fortemente consigliato.
- Vi ricordate quando ho scritto che “avevamo visto gli iceberg”?
Beh, non avevamo visto nulla.
Ilulissat decide di alzare la posta in maniera sfacciata, e fino dal primo passo fuori dall’aeroporto di troviamo di fronte ai reali colossi di ghiaccio.
Tutta la baia è costellata da enormi blocchi di ghiaccio, alcuni dei quali grandi come vere e proprie isole, che si spostano lentamente verso l’oceano. Abbiamo avuto modo di ammirarli un pomeriggio durante un giro in barca che ci ha regalato anche LA SECONDA BALENA.
Ok, non letteralmente. Ma durante la nostra escursione abbiamo avuto il secondo incontro con una megattera, questa volta a una manciata di metri dalla nostra imbarcazione. Ci siamo potuti avvicinare fino quasi a toccarla, per poi vederla scomparire praticamente sotto di noi, la sua enorme sagoma bianca e nera che passava sotto la chiglia della barca nel più assoluto silenzio, circondati solo da candide montagne di ghiaccio.
Non è retorico dire che sia stata l’esperienza più incredibile di tutto il viaggio.
Ok, siamo quasi agli sgoccioli.
Vi ringrazio per la pazienza che avete avuto fino a questo punto, abbiamo quasi raccontato tutto quello che c’era da dire…
Rimane solo da tirare le fila del discorso e parlare del viaggio non tramite i fatti successi ma attraverso quello che ci ha lasciato. Grazie a voi, intanto, per aver letto fino a qui!
A presto... abbiamo quasi finito!