Il nostro piano, fin dall’inizio, è stato uno soltanto.
A prescindere dalle naturali variazioni di tempi e percorsi che avremmo deciso giorno per giorno l’obiettivo sarebbe rimasto uno: la Laguna Blu.
A meno di quaranta chilometri da Reykjavik, verso sud-ovest, si trova una meta obbligata per chiunque sia interessato alla vivace vita culturale e alla storia islandese: un centro termale con piscine all’aperto munito di bar centrale, in cui acquistare birre per sbronzarsi mentre si rimane a mollo nell’acqua calda. Ovviamente, dato che siamo sensibili intellettuali, ci è sempre sembrato scontata l’idea di terminare lì il nostro peregrinare in bici, un simbolico .punto al termine di un mese di pedalate controvento.
Una sorta di cimitero degli elefanti dove andare a spegnersi tra innumerevoli birre, solo con “ciccioni” al posto di “elefanti”.
È quindi partendo da questa premessa che, ancora fermi a Selfoss, decidiamo di spostarci verso sud, in direzione di Þorlákshöfn (la “Þ” iniziale è una “t”; si legge a grandi linee come la “th” inglese), per poi percorrere il giorno successivo gli ultimi chilometri fino a Grindavík e terminare così alla Laguna Blu, prima di tornare a Reykjavik nell’ultimo giorno utile.
La cosa ottima è che lungo la strada che dobbiamo percorrere si trova un altro luogo celebre per le acque termali, anche se in un contesto completamente diverso da quello di cui sopra.
Da Hveragerði, appena a nord di Selfoss, si dipana un sentiero lungo circa tre chilometri che porta fino a Reykjadalur, un piccolo corso d’acqua che sgorga intorno ai cento gradi e si raffredda progressivamente scendendo verso valle. Il che si traduce in una serie di piccole piscine naturali che vanno dalle più calde, a monte, fino a quello più tiepide scendendo verso valle.
Il tutto costeggiato da un pratico camminamento in legno munito di scalette per calarsi nell’acqua fumante.
La passeggiata fino al fiume è piacevole; ovviamente appena siamo costretti a camminare in salita per più di venti metri iniziamo ad avere una respirazione che ricorda quella dei carlini, ma il tempo è splendido e soffia una brezza piacevole. L’unico momento in cui il cielo si rannuvola e inizia a cadere qualche goccia ci trova già ben preparati, con i vestiti all’asciutto dentro degli eleganti sacchetti della spesa, e già immersi in una pozza calda. Il tempo che trascorriamo a mollo nell’acqua termale ci cuoce a puntino, approfittiamo anche del bel posto per concederci un pranzo frugale a base di panini con tutto. Ci ricordiamo soltanto dopo aver mangiato di non avere con noi dell’acqua, decidiamo quindi che è il momento di tornare alle bici; quello e il fatto che stare immersi nelle piscine termali ci sta facendo passare qualsiasi voglia residua di pedalare.
Il bel tempo dura a sufficienza da riaccompagnarci anche al ritorno, tanto da farci dimenticare anche i precedenti giorni di pioggia. Riprendiamo le bici e saliamo in sella fiduciosi, pronti a percorrere i chilometri che ci separano da Þorlákshöfn accompagnati dal clima favorevole.
Il tempo di salire in sella e il cielo diventa nero e comincia a piovere.
Ormai sono allenato e rimango indifferente davanti all’ennesima dimostrazione di odio nei nostri confronti da parte dell’Islanda. Arriviamo a Þorlákshöfn dopo venti chilometri bagnati e -mi sono anche stufato di scriverlo- controvento.
La mia unica reazione è una immotivata ilarità che penso possa essere il risultato di un lieve crollo psicotico.
La cittadina di Þorlákshöfn, se cittadina la vogliamo chiamare, ci lascia un attimo perplessi. È tutto molto curato e, pare, molto nuovo. Tuttavia in giro non si vede un anima.
Tolta una piccola zona industriale fatta di capannoni tutti uguali messi uno in fila all’altro, il resto sono piccole case unifamiliari circondate da giardini, separate da stradine in cui non passa nessuno. Sembra che sia spuntato tutto nottetempo.
Troviamo il campeggio accanto a un enorme centro sportivo con all’interno… bho… tre persone? Il centro funge anche da reception per il campeggio e al suo interno è possibile utilizzare le docce; docce vere che sparano acqua bollente con una pressione degna di questo nome. Ci rimettiamo in sesto e andiamo a comprare la cena in un vicino supermercato. Visto che ci stiamo avvicinando alla fine ci concediamo una cena sontuosa: riso istantaneo al pollo, patatine con guacamole e birre-poco-alcoliche.
Mi rendo conto solo ora di non aver mai affrontato questo argomento nei precedenti blog: in Islanda, per motivi che sfuggono alla mia comprensione*, non è possibile acquistare alcolici nei negozi di alimentari. Siano essi piccole rivendite o grandi supermercati.
Se per caso desideraste bere una birra o un bicchiere di vino dovrete recarvi in un Vínbúðin, piccoli negozi autorizzati alla vendita di alcolici con gradazione superiore al 2,25%.
Ciò significa che le birre che vedrete nei supermercati sono in realtà:
a) birre con un contenuto alcolico ridottissimo, ma dal sapore ancora accettabile
b) “estratti di malto”, disgustosi beveroni con lattine simili a quelle della birra, immagino per ingannare gli incauti
*non è vero, sono solo pigro: qua nel link un piacevole approfondimento in inglese: https://www.cntraveler.com/stories/2016-07-05/icelands-relationship-with-alcohol-its-complicated
Ad ogni modo piantiamo la tenda, ci cambiamo e approfittando dei tavoli all’aperto apparecchiamo per la cena. Dove “apparecchiamo” sta ovviamente per “rovesciamo il sacchetto della spesa”.
Il tavolo accanto al nostro è occupato da altri due degli otto ospiti totali del campeggio, due ragazzi sulla cinquantina dall’aria simpatica. Sentendoci parlare in italiano ci salutano e ci augurano un buon appetito, sono entrambi piemontesi (regione dai molti meriti, tranne aver dato ai natali Nick, uomo il cui odore è eguagliato solo dal rumore che produce durante il sonno); iniziamo a chiacchierare e il discorso vira inevitabilmente sulle due domande tipo: le squadre di calcio tifate e la meta del viaggio.
Sulla prima non abbiamo nulla da dire, e abbozziamo le classiche frasi da chi di calcio non ne capisce nulla ma ci prova lo stesso per non sfigurare. Per rispondere alla seconda, invece, sfoderiamo un sorriso a trentadue denti e dichiariamo la nostra intenzione di dirigerci verso la Laguna Blu il giorno successivo.
I nostri nuovi amici sembrano approvare, ci chiedono poi per che ora abbiamo prenotato.
…
“Prenotato”?
I nostri volti assumono la tipica espressione ottusa di chi non ha ben capito la situazione.
Scopriamo quindi che oltre a dover pagare molti €uri a persona, è anche necessaria la prenotazione, proprio a causa della natura estremamente turistica del posto.
Ci guardiamo tra di noi alzando le spalle, azzardiamo un ultima ricerca sul sito della Laguna giusto per scoprire che il giorno successivo ci sarebbe posto dalle undici di sera fino a mezzanotte, per il modico prezzo di ottanta euro a persona.
In perfetto stile Volpe con l’Uva decidiamo che abbiamo già avuto la nostra parte di terme, ringraziamo i nostri amici per averci risparmiato una pedalata inutile di cinquanta chilometri (i risultati sarebbero stati disastrosi) e ci ritiriamo mesti in tenda.
Il giorno successivo faremo rotta su Reykjavik con un giorno di anticipo, per la felicità di Nanna che ci ospiterà anche questa volta.