#12 : LA PIOGGIA

Non abbiamo foto della pioggia perché quando piove non ti fermi a fare foto

Non abbiamo foto della pioggia perché quando piove non ti fermi a fare foto

Se pensate di poter pedalare in Islanda rimanendo asciutti, forse è il caso di ridimensionare un attimo le vostre aspettative.
Se c’è una cosa che l’Islanda ci tiene tantissimo a insegnarvi è che non bisogna MAI sentirsi sicuri. Che si parli del vento, della pioggia, del terreno difficile, della pendenza, non bisogna MAI pensare che il peggio sia alle spalle; nel momento stesso in cui crederete di essere al sicuro, l’Islanda sbucherà da dietro un angolo per urlarvi in faccia e scuotervi fortissimo. Premurosa e attenta come un pazzo psicotico.
Il mio definitivo divorzio dall’Islanda e dal suo clima che per necessità definirò “pazzerello” avviene la mattina in cui lasciamo Vik.

Il volto beffardo di una terra che ti odia

Il volto beffardo di una terra che ti odia

Dovete pensare, se non siete abituati a viaggiare in tenda, che in caso di pioggia è praticamente impossibile conservare una parvenza di asciutto, specie se ci si muove in bici.
Smontare la tenda sotto la pioggia vuole dire ritrovarla bagnata fuori e umida dentro quando la si riapre alla sera. Sempre che non si debba anche montarla sotto la pioggia, nel qual caso è bene rassegnarsi subito all’idea di dormire in una palude. Capirete che al termine di una giornata passata a pedalare dormire in uno stagno possa non rappresentare l’epilogo ideale.

La mattina in cui dobbiamo lasciare l’Incantevole Città Cantiere ci svegliamo sotto una pioggia battente, una rapida occhiata al sempre accuratissimo sito del meteo ci conferma che sono previste precipitazioni per tutta la giornata e che di conseguenza non ha senso aspettare che spiova. Ci rassegniamo quindi all’idea di una giornata bagnata, ci vestiamo in tenda, chiudiamo tutte le borse e usciamo per caricare tutto sulle bici.
Cerchiamo comunque di prendere la cosa con spirito. Quando arriva il momento di partire la pioggia cade meno fitta rispetto a quando ci siamo svegliati, e l’unica grossa salita della giornata ci aspetta appena fuori da Vik, lasciandoci sperare in una giornata progressivamente più vivibile.

Siamo esploratori, questa foto lo testimonia in maniera incontrovertibile

Siamo esploratori, questa foto lo testimonia in maniera incontrovertibile

A circa trenta chilometri abbiamo anche un discreto colpo di fortuna: la pioggia cessa abbastanza a lungo da permetterci di percorrere in bici tre chilometri di sabbia e sassi che portano fino alla carcassa di un piccolo DC-3 abbandonato negli anni '70 in seguito ad un atterraggio di emergenza, meta popolare tra turisti islandesi e non, priva di qualsiasi interesse storico ma eccellente per farsi foto da pubblicare su facebook/Instagram/social a scelta.
Cerchiamo di sfruttare al massimo la location per fare foto a Sio nell’aereo, foto a Sio sopra l’aereo, foto di Sio seduto sull’ala e le tipiche foto da scattare in queste situazioni: foto di Sio che si sbraccia come un idiota. Tutti i turisti presenti ci guardano con ammirazione domandandosi se siamo completamente deficienti.
Quando ci rimettiamo in strada ci basta percorrere un’altra manciata di chilometri per arrivare a Skógafoss, con la sua maestosa cascata e la sua maestosa tavola calda dove possiamo scaldarci, asciugarci e ingolfarci di patatine fritte. Il tipico cibo da ciclisti che sanno quello che fanno.
In tutto questo siamo assistiti da Aurelie, entusiasta tanto per l’aereo quanto per il cibo caldo, quanto per qualsiasi cosa, immagino. La fisso intensamente cercando di capire cosa possa rendere così felice e propositiva una persona, ma rinuncio dopo pochi secondi per poter risprofondare nella mia confortevole bolla di pessimismo.

Di Skógafoss, purtroppo, ho solo foto della cascata

Di Skógafoss, purtroppo, ho solo foto della cascata

Il peggio inizia dopo pranzo.
Abbiamo la pancia piena, siamo quasi completamente asciutti e la pioggia sembra diradarsi. Commettiamo l’errore che l’Islanda non perdona: ci rimettiamo in sella convinti che la giornata non possa che volgere al meglio.
BAM!!
Bastano pochi minuti di strada e la pioggia diventa acquazzone. Guardarsi intorno diventa impossibile e l’unica cosa che si può fare e pedalare fissando a pochi metri davanti a sé. Quando si è sotto un muro d’acqua è irrilevante che tipo di vestiti abbiate addosso, se impermeabili o meno: dopo una decina di minuti inizierete a sentire rivoli d’acqua scendervi lungo la schiena e i piedi avvolti da due spugne fradice, a prescindere da tutti i copriscarpe e le giacche antipioggia che potete avere addosso.

Va detto che essere bagnati mentre si pedala non è così tragico; finché non ci si ferma è abbastanza facile dimenticarsi di essere zuppi e il movimento costante impedisce di avere freddo. Il problema nasce nel momento in cui ci si ferma: i vestiti bagnati rendono estremamente sensibili al vento e al freddo, due cose che in Islanda difficilmente mancano.
Ma bisogna mettere tutto in prospettiva: anche dopo il peggior temporale basta un riparo e una doccia calda per rimettere al mondo anche il più esausto dei ciclisti.
Arriviamo quindi nell’unico campeggio sprovvisto di docce.

Non siamo noi ma potete fare finta di sì

Non siamo noi ma potete fare finta di sì

La mia reazione è così pacata che le pecore nel raggio di un paio di chilometri spiccano il volo per allontanarsi dal pericolo e l’erba intorno a me inizia ad appassire.
Mi concedo qualche istante di pura Rabbia & Frustrazione prima di tornare a essere la personcina posata che tutti amano e apprezzano.
Mi arrendo all’Islanda e finalmente ammetto la sua totale vittoria sui miei nervi e sulla mia voglia di combatterla. L’Islanda, dalla sua, pare accorgersi della mia resa perché smette di piovere e le nuvole iniziano a diradarsi, lasciando passare qualche raggio di sole.
Ne approfittiamo per piantare la tenda e lasciarla un po’ aperta ad asciugare, mentre sfruttiamo il piccolo bagno provvisto di calorifero per stendere tutti i nostri vestiti fradici.

Nella mia mente il nome di Eystra Seljaland rimarrà per sempre legato al luogo dove ho seppellito la mia voglia di confrontarmi con il tempo islandese, e dove ho iniziato a subire passivamente qualsiasi angheria climatica senza più badarci.
Paradossalmente la cosa sembra pagare. Il giorno successivo abbiamo un solo obiettivo: pedalare i sessanta chilometri che ci separano da Selfoss, in modo da avvicinarci il più possibile al nostro prossimo obiettivo, il fiume caldo di Reykjadalur. Biciclettiamo tutto il giorno sotto l’acqua, ma la cosa mi scivola addosso (ah ah); avanzo a testa bassa senza fare troppo caso alla pioggia, spinto solo dalla voglia di mettermi alle spalle il più in fretta possibile la giornata.
Arriviamo a Selfoss nel tardo pomeriggio e l’accoglienza che riceviamo è la migliore possibile: un campeggio nuovo e attrezzato, con splendide docce calde e delle galline che razzolano nel prato.
Le docce ci permettono di toglierci di dosso due giorni di umidità, le galline sono divertenti da guardare.

Passiamo la sera all’asciutto nella spaziosa sala comune, dopo una cena rinfrancante al vicino KFC (scusate galline). Il giorno seguente siamo pronti per ricevere finalmente la nostra dose di acqua termale islandese. Saliamo in bici sotto un sole tiepido e ci avviamo fiduciosi verso ovest…